Che lo si chiami ecodesign o eco-progettazione l’obiettivo non cambia: concepire manufatti con il minimo impatto ambientale durante l’intero arco del loro ciclo di vita. Potrebbe sembrare una missione quasi impossibile, eppure, grazie alla ricerca e all’innovazione, si riescono a realizzare prodotti non solo con materiali sostenibili, ma in grado di avere una vita anche dopo che hanno terminato il proprio scopo. Una specie di reincarnazione che fa bene a tutti, non solo al Pianeta. Dall’ideazione, progettazione, produzione fino al loro utilizzo e smaltimento o riuso, grazie all’ecodesign la sostenibilità non è più solo un fatto di clima, ma si estende anche alla sfera sociale e economica, se non addirittura a quella emotiva.

Jonathan Chapman, esperto di emotionally durable design ha spiegato nel suo libro Emotionally Durable Design: Objects, Experiences & Empathy che riuscire a dare un valore emotivo agli oggetti che ci circondano è importante per incentivarci ad aver cura degli stessi facendoli, di conseguenza, durare di più. Quindi, non solo una progettazioneconsapevole che ha alla base la scelta consapevole dei materialiche contribuisce a ridurre la quantità di rifiuti generati, intervenendo su durabilità, riparabilità e riciclabilità dei prodotti, ma anche un cambio di passo nella nostra testa che ci coinvolga nell’idea del riciclo e del riuso, attraverso un investimento culturale-emotivo.

Detto in parole circolari: meglio prevenire che smaltire, poiché ogni oggetto progettato secondo le regole dell’ecodesign è pensato per poter avere una seconda vita, sia a livello di materiali che di funzionalità. E allora, vogliamogli bene! Tutti possiamo fare la differenza, non solo le aziende che contribuiscono attivamente a rendere i packaging e i prodotti più eco-friendly e ridurre significativamente gli sprechi, ma anche noi, che dobbiamo guardare con occhi nuovi questi tempi nuovi.