“Un giorno tutto questo sarà tuo”

Fino a qualche decennio fa lo poteva dire dalla cima di una collina un vecchio contadino al proprio figlio, un anziano re al suo successore dall’alto del suo castello, un artigiano, un negoziante, un ristoratore ciascuno dal proprio, più o meno piccolo, locale al proprio, più o meno legittimo, discendente.

E noi, i portatori del vessillo della Generazione X?

Condurremo la nostra prole sulla collina, indicheremo boschi incendiati, discariche maleodoranti, cieli grigi di polluzione, soli malati e terreni purulenti e, guardando sconsolati  i nostri pargoli ormai trentenni, proferiremo con un filo di voce il canonico: “Un giorno tutto questo sarà tuo”?

Diciamocelo francamente: chi ha vissuto gli ultimi 50 anni su questa terra al momento non sta preparando un bel ricordo di sè.

Ci siamo lasciati carezzare, qui in occidente, dall’agio di muoverci, mangiare, consumare, come se non ci fosse un domani.

Attaccavamo il nostro motore vorace ad una pompa di carburante che appariva infinita e via: la strada che avevamo davanti era da divorare, chilometro dopo chilometro, minuto dopo minuto.

Non che per noi sia stato tutto facile, non è questo.

Ciascuno, nella propria vita, ha avuto le proprie difficoltà, più o meno grandi, i propri problemi, più o meno insormontabili.

No, decisamente, non era tutto facile.

Ma tutto a portata di mano, questo sì.

Benzina dietro ogni angolo, supermercati sotto casa, scansìe piene di prodotti provenienti da ogni parte del mondo così che se non potevamo, novelli Maometti, raggiungere la montagna era la montagna a raggiungere noi.

Carni argentine, avocado, primizie esotiche, salmoni dell’alaska: i nostri stomaci hanno viaggiato sicuramente più di noi. Sono arrivati più lontano e, qualche volta, hanno anche risentito di un personalissimo jet leg.

Per non parlare delle compagnie aeree low cost che ci hanno sicuramente mostrato un mondo più piccolo e disponibiole ma hanno incrementato anche la scia di spazzatura pulviscolare che ogni nostro viaggio si porta dietro.

Tutto a portata di mano, dunque. E tutto apparentemente senza conseguenze, se non quelle dirette sulla capienza, del tutto personale, del portafogli.

Il nostro portafogli, in effetti, era l’unico parametro su cui misuravamo l’impatto delle nostre scelte.

Sedotti da una comunicazione commerciale che non faceva altro che fomentare i nostri sogni, consolidare la nostra voglia di appartenenza a qualcosa di significativo, spingerci a consumare, consumare, consumare.

Quanti significati, in effetti, nella parola consumare. E nel suo derivato, che ci accomuna tutti, ricchi, poveri, belli e brutti: consumatori.

Che fossero metropoli da bere, uomini che non dovevano chiedere mai, donne fatali, merendine irresistibili, le icone della comunicazione pubblicitaria dagli anni 80 in poi hanno generato un corto circuito che ci ha condotto in una realtà ideale dove tutto era possibile, bastava volerlo. O comunque poterselo permettere.

Poi la tela su cui tutti noi proiettavamo questi sogni si è strappata, prima con qualche piccola sfilacciatura ai bordi, un angolo mal fissato che si staccava dai supporti, fino ad uno squarcio netto e palesemente presente. E quello che abbiamo visto comparire dietro non ci piace per niente…

Ora saremo più accorti, più consapevoli, nella nostra quotidianità. Dobbiamo esserlo. Prima di acquistare un qualsiasi bene, prima di iniziare un viaggio, prima di scegliere un servizio, dobbiamo chiederci se possiamo permettercelo non solo per le nostre economie ma soprattutto per le dimamiche di un pianeta sofferente che non possiamo più permetterci di consumare.

Anche perché un giorno tutto questo sarà di qualcun altro.

Zac