Abbiamo intervistato Deborah Zani, CEO e direttore marketing e commerciale di Rubner Haus dal 2018, proprio qualche giorno prima entrasse in maternità. Laureata in Relazioni Pubbliche all’Università IULM di Milano, ha conseguito un dottorato in Filosofia, Giornalismo e Scienze della Comunicazione presso la Alpen Adria Universität di Klagenfurt. È entrata a far parte della realtà di Rubner Haus inizialmente come responsabile della comunicazione e riorganizzazione aziendale.

Deborah Zani ha pubblicato, con la collaborazione della giornalista Maria Chiara Voci e l’illustratore Nicolò Canova, Sostenibilità e profitto – Il binomio del successo nel prossimo futuro per Mondadori Electa (2021). Il libro è frutto di un’approfondita ricerca e raccolta le opinioni di professionisti, manager e imprenditori, puntando a dimostrare come sostenibilità e profitto siano due realtà conciliabili.

  • Ogni intervista presente sul libro inizia con una domanda semplice ma fondamentale che proponiamo anche a Lei: qual è la Sua definizione di sostenibilità?

La mia personale definizione di sostenibilità è legata al il ricordo da bimba di un ciuffo di carote, un cesto di pomodori o un mazzetto di fragole nell’orto di mia nonna. Un ricordo che è sinonimo di più concetti: autenticità e quindi sincerità, contenuto e quindi concretezza, condivisione e salubrità. Paradossalmente ciò che è sostenibile non sempre è al contempo salubre.

  • La ricerca non parla attraverso una sola voce e un solo punto di vista, ma interpella 21 professionisti di altri settori. Che importanza ha la comunicazione interdisciplinare e cross culturale della sostenibilità e che ruolo hanno i rapporti umani nella trasformazione di culturale per una società sostenibile?

Qualsiasi trasformazione deve cambiare dal basso ma essere supportata dall’alto. Mi spiego: La sostenibilità deve essere capita, interiorizzata e voluta. Il consumatore deve pretenderla ma sono le aziende che devono renderla accessibile come la pubblica amministrazione. La politica deve dare indicazioni – a larga maglia. La trasformazione è un percorso adattivo che comporta la disponibilità a investimenti, cambiamenti di concetti di governance, collaborazione con la filiera e il territorio. I leader di settore hanno a disposizione denaro e capacità per dare indirizzo e sostegno. I cluster di competenza italiani possono investire congiuntamente nello sviluppo di modelli di produzione e di agire sostenibile. La sostenibilità non è tipica di un settore, semplicemente alcuni settori si sono mossi prima di altri. La sostenibilità è sull’agenda di tutti, è un tema che riguarda il sistema economico, produttivo e culturale. La comunicazione è già cross culturale perché riguarda tutti gli aspetti della nostra vita, la fruizione di prodotti e contenuti culturali dovrebbe avvenire secondo la logica del poco ma di valore. La chiave affinché questo possa succedere sono la formazione, la condivisione, il dialogo, ma prima di tutto l’accessibilità e la consapevolezza che i tempi di reazione, anche se parliamo di sostenibilità da 35 anni, devono accelerare. 

  • Come specifica nell’introduzione, la scelta di sostenibilità genera profitto a patto che ci sia una reale volontà nel perseguirla. Cosa significa per un’azienda uscire dalla comfort zone per compiere delle scelte sostenibili?

Significa dare concretezza a ciò che può essere considerato un semplice compasso morale di un imprenditore. Significa definire responsabilità e aree di sviluppo della tematica in azienda, investire in formazione, in ricerca e sviluppo, in tecnologie, in riorganizzazione, comunicazione. Significa cercare di rendere oggettiva e riconoscibile la propria sostenibilità. Al momento chi si muove ha la possibilità di rientrare in parte dei costi per questa riorganizzazione che deve riguardare le aree dell’impegno sociale, ambientale e della governance. Il cliente è ancora disponibile a pagare un margine di prezzo superiore per prodotti sostenibili, ma non bisogna alzare troppo la leva del prezzo. Agire in maniera sostenibile equivale a un grande impegno ma chi non lo farà, uscirà dal mercato.

  • Ricollegandoci alla comunicazione del programma dei valori eco-friendly, che ruolo ha la narrazione della sostenibilità?

La narrazione è una capacità nella quale le PMI italiane peccano. La capacità di narrare è fondamentale, perché è strettamente legata al greenwashing. Non sempre chi è bravo a narrare è anche sincero e non sempre viene smascherato da parte di un consumatore distratto. Ecco perché oltre ad investire nella narrazione le aziende devono definire norme di settore e pretendere sanzioni per chi le elude. Attenzione, anche in quel caso, non sempre si riesce a fare uscire dal mercato chi non si comporta in maniera trasparente.

  • Il passaggio dalla comunicazione ai fatti è un processo critico per un’impresa, come si evita il rischio greenwashing? Di conseguenza, come si narra l’operato di un’azienda sostenibile?

Sono i fatti a contare più delle parole. Chi come azienda si inserisce nel contesto territoriale, chi intraprende attività per i propri collaboratori, chi dimostra che i progetti di sviluppo ambientale hanno risvolti concreti e visibili, chi mette a disposizione veri progetti di attenzione sostenibile, chi sorprende per creatività nell’utilizzo di funghi per la pulizia dei pavimenti, per esempio, sarà top of mind innescando ciò che veramente conta per avere successo: il passaparola. Questo vale sia nel settore B2B che B2C.

  • La sostenibilità non è una responsabilità individuale, esistono dei sistemi di rating e certificazioni che misurino il successo dell’operato di un’impresa che punta a non lasciare un’impronta ambientale?

Gli standard per la certificazione di sostenibilità sono fondamentali per uniformare il linguaggio delle aziende e per renderle confrontabili. Purtroppo, ne esistono troppi che tra l’altro insistono su temi analoghi. A livello internazionale lo standard GRI è il più diffuso, invece l’Europa sta mettendo a regime un sistema di rendicontazione, per redigere un non financial report, che dovrebbe essere pronto nell’ottobre del 2023. Al momento meglio scegliere certificazioni che vanno oltre alle componenti di prodotto, ma che misurano l’impatto dell’azienda in relazione a governance, dipendenti, clienti e fornitori, l’ambiente, il territorio, come la certificazione BCorp, certificazione trans-settoriale che è di facile comunicabilità per il consumatore distratto di cui prima.